
C’era una volta un edificio sventrato dai missili, nel cuore di Belgrado. E c’è ancora. Le rovine del vecchio Ministero della Difesa, bombardato dalla NATO nel 1999, sono rimaste lì, scheletro di cemento e mattoni che scruta il traffico cittadino. Simbolo di un passato violento, monito, forse, o semplicemente un’assenza lasciata a dialogare con la città che cambia.
Belgrado, infatti, non ha mai smesso di cambiare. La capitale serba è un organismo vivo, che si espande e si contrae, che assorbe il vecchio e sperimenta il nuovo.

L’architettura dei palazzi dell’epoca jugoslava si alterna a nuove costruzioni in vetro e acciaio, specchi di una modernità ambiziosa. Ma se cerchi la vera essenza della città, devi seguirne i ritmi, le storie stratificate nei vicoli e negli edifici sbrecciati, i segreti raccontati dai muri scrostati del centro storico.

Poco distante dalle rovine del Ministero, si estende la zona di Savamala. Un tempo quartiere decadente, oggi è l’epicentro della scena creativa belgradese: gallerie d’arte, club sotterranei, murales che cambiano con le stagioni. Qui, la notte è lunga e piena di suoni, dalle note elettroniche dei club più famosi alle chiacchiere davanti a un bicchiere di rakija, la grappa locale che riscalda anche gli animi più scettici. La scena musicale è variegata e si mescola con la cultura underground della città: techno potente nei club più noti, jazz sperimentale in piccoli locali nascosti e persino una scena rock alternativa che resiste al tempo.
I giovani di Belgrado vivono un rapporto contrastante con il passato. Molti di loro sono nati dopo la guerra, o erano troppo piccoli per ricordare i bombardamenti. Cresciuti in una società che si è lasciata alle spalle la dittatura di Tito e ha attraversato una difficile transizione democratica, oggi guardano al futuro con un misto di cinismo e speranza. Alcuni rimpiangono la stabilità economica della Jugoslavia, mentre altri vedono nella democrazia e nell’apertura all’Europa la possibilità di un futuro migliore. Parlano poco della guerra, ma i segni sono ancora ovunque, e il passato non si dimentica facilmente.
Ma la vera trasformazione la si vede lungo il fiume. Il Danubio e la Sava si incontrano a Belgrado, e sulle loro rive si è sviluppato uno dei cambiamenti più significativi della città: il progetto Belgrade Waterfront.

Un’enorme riqualificazione urbana che ha trasformato la zona in un mix di grattacieli, hotel di lusso e centri commerciali. Un contrasto netto con la Belgrado di una volta, quella delle kafane fumose e delle strade sterrate, quella del Kalemegdan, la fortezza che sorveglia la città da secoli, impassibile davanti al mutare dei tempi. Qui, il costo della vita è decisamente più alto rispetto ad altre zone della città, con ristoranti e bar di lusso che attirano una clientela internazionale, mentre i vecchi abitanti faticano a mantenere la loro presenza in un’area sempre più esclusiva.

Nel cuore della città, l’ex zona industriale è diventata un polo di vita notturna. I vecchi magazzini e le fabbriche abbandonate sono stati riconvertiti in club, bar e spazi culturali. È qui che i giovani si ritrovano fino all’alba, tra musica techno, concerti improvvisati e locali alternativi che ricordano le atmosfere di Berlino.

Anche il vecchio porto, un tempo punto nevralgico per il commercio fluviale, ha subito una metamorfosi simile: oggi è pieno di locali affacciati sull’acqua, dove si può bere un cocktail ammirando le luci della città riflesse sul fiume. Qui si trovano anche locali che ospitano performance di musica balcanica moderna, un ibrido tra folk, elettronica e ritmi gitani che fa ballare fino all’alba.
Eppure, nonostante i cambiamenti, Belgrado rimane Belgrado. Dura, testarda, piena di contraddizioni. Una città che si reinventa senza mai dimenticare chi è stata. Passeggiare per le sue strade significa attraversare epoche diverse nello stesso istante: il passato di guerra e socialismo, il presente di innovazione e disordine, il futuro incerto ma sempre in costruzione. Perché Belgrado, alla fine, non muore mai.
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